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Sclerosi multipla, dalle evidenze consolidate alle nuove opportunità d'uso dell'interferone beta 1a #SIN20
Domenica 13 Dicembre 2020 Redazione
È stato il primo farmaco ad essere stato approvato per il trattamento della sclerosi multipla (SM), eppure l’interferone-beta-1a (IFN ß-1a) sc rimane attuale per la sua versatilità d’uso e per le molteplici e nuove opportunità di impiego nel percorso terapeutico. Di questi argomenti si è parlato in un simposio che si è svolto durante il recente congresso della Società Italiana di Neurologia (SIN 2020).
«Nelle relazioni» premette la Prof.ssa Maria Pia Amato, dell’Università degli Studi di Firenze, comoderatrice del simposio, insieme alla Prof.ssa Simona Bonavita, dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, «si tratterà il meccanismo d’azione dell’IFN ß-1a, con un focus sulla sua attività antivirale, nota da tempo ma quanto mai rilevante nell'attuale situazione pandemica. Si svolgerà poi un “viaggio del paziente” attraverso l'esposizione di casi clinici, analizzando le tappe principali dell’esperienza di malattia e affrontando temi importanti come quelli del family planning e delle possibilità d’uso in età pediatrica adolescenziale e nel paziente anziano fragile».
1) Meccanismo d’azione dell’IFN ß-1a
1a) L’immunomodulazione e il ruolo antivirale«Non solo le cellule immunitarie ma molti tipi cellulari sono in grado di riconoscere i patogeni quando questi entrano in contatto con il nostro organismo, attraverso alcuni recettori tra cui i toll-like receptor» afferma la dr.ssa Alice Laroni dell’Università di Genova.
«Quando avviene per esempio che un virus a RNA invade la cellula, i toll-like receptors si attivano ciò porta a sua volta all'innesco di diversi pathways intracellulari determinando l’induzione, per esempio, del fattore di trascrizione NF-kb il quale promuove l'espressione di geni che codificano per molecole proinfiammatorie ma anche per la produzione di IFN di tipo 1». Gli IFN di tipo 1, spiega, inducono uno stato antivirale promuovendo l'espressione di geni che codificano per proteine che inibiscono la sintesi virale, degradano gli acidi nucleici virali o inibiscono l'assemblaggio dei virus.
«Gli IFN di tipo 1 modulano la risposta immunitaria non solo dopo un'infezione virale ma anche nella SM» ricorda Laroni. «Il razionale per il suo impiego all'inizio fu un possibile effetto sulla produzione di immunoglobuline, l'induzione di uno stato antivirale oppure il contrasto di molecole di IFN endogene proinfiammatorie».
In realtà, continua, gli studi effettuati finora dimostrano che l' IFN ß-1a agisce su diversi punti chiave della risposta immunitaria alterata che caratterizzano la SM. Quest’ultima inizia verosimilmente al di fuori del sistema nervoso centrale (SNC), negli organi linfoidi secondari dove le cellule presentanti l'antigene espongono l'antigene mielinico ai linfociti. «Su questo punto importante di attivazione agisce l’IFN ß-1a: diversi studi dimostrano che sia in grado di modulare la presentazione dell'antigene da parte delle cellule dendritiche e dell’espressione di molecole costimolatorie (come PDL-1), fondamentali per determinare l'attivazione dei linfociti» afferma Laroni.
Dopo che i linfociti riconoscono l'antigene, prosegue, i linfociti T e i linfociti B nella SM si attivano e, anche in questo momento, agiscono gli IFN di tipo 1. «È stato dimostrato che la terapia con IFN ß-1a è in grado di modulare le risposte T-helper di tipo 1 e quindi la produzione di citochine proinfiammatorie e antinfiammatorie da parte dei linfociti T. Inoltre la terapia con l’IFN ßC-1a è in grado di diminuire i linfociti B memoria (considerati proinfiammatori nella SM) e anche la capacità dei linfociti B di essere infettati dal virus di Epstein Barr (potenzialmente importante nella patogenesi della SM)».
Altro punto chiave per la patogenesi della SM è il difetto dei meccanismi regolatori periferici, che comprendono le cellule regolatorie T, B e NK. «Uno studio ha dimostrato che la terapia con IFN ß-1a induce nel paziente un aumento delle cellule T regolatorie, sia nel loro tipo naturale sia nel loro tipo inducibile». Gli IFN di tipo 1, rileva Laroni, sono efficaci nella SM ma al contempo sono dannose nei pazienti con malattie autoimmuni sistemiche come il lupus eritematoso sistemico. «La SM si distingue da una malattia autoimmune sistemica per il fatto di essere compartimentalizzata e di riguardare il SNC, dove l’invasione dei linfociti del sistema adattivo scatena un reclutamento dei linfociti delle cellule mieloidi sia endogene sia provenienti dal sangue periferico le quali mediano il danno mielinico e quindi assonale» spiega Laroni.
1b) Il signaling dell’IFN di tipo 1 e i marcatori biologici di risposta
Il signaling delI’IFN di tipo 1 nelle cellule mieloidi attenua l’autoimmunità nel SNC e l’abolizione di tale signaling causa un aumento di demielinizzazione, risposta infiammatoria e gravità della patologia. «Diversi studi hanno confermato che gli IFN di tipo 1 agiscono sulle cellule mieloidi sia a livello del sangue periferico sia all'interno del SNC. È stato anche valutato l'effetto del signaling dell’IFN di tipo 1 sulle proprietà rigenerative della microglia, dimostrando che in presenza di danno mielinico la microglia proinfiammatoria degenera ed è sostituita da una microglia antinfiammatoria che supporta la rimielinizzazione: questo non avviene in caso di blocco del signaling dell'interferone di tipo 1» afferma Laroni. D 'altronde, aggiunge, la terapia con l’IFN ß-1a a lungo termine è in grado nei pazienti di indurre l'espressione di RNA che codificano per proteine neuroprotettive e questo si associa nei pazienti ina una riduzione della catena leggera dei neurofilamenti sierici circolanti, noti marker di danno assonale.
1c) La sicurezza nei pazienti con SM in terapia con IFN ß-1a
«Alcuni dati suggerivano inizialmente che gli IFN di tipo 1 potessero avere un'azione dannosa nel Covid-19 riducendo le risposte dell’IFN fi tipo 1 e promuovendo l’ACE2, il ligando della proteina spike» afferma Laroni «ma un recente studio ha dimostrato che l'infezione da SARS-CoV-2 non induce nella cellula infettata ACE2 bensì una sua forma difettiva che quindi non è in grado di legare il virus, portando a un meccanismo di difesa dall'infezione. Nei pazienti già in terapia con IFN ß-1a è quindi inutile il tentativo del virus di bloccare la risposta dell'IFN di tipo 1 della cellula in quanto il paziente in trattamento con IFN ß-1 può essere protetto da forme severe di Covid-19».
2) L’algoritmo decisionale per l’identificazione della migliore terapia per il singolo paziente
«L'identificazione della migliore terapia per il singolo paziente richiede un algoritmo decisionale complesso e articolato che include valutazioni non solo inerenti al farmaco ma che tenga conto di considerazioni relative al singolo paziente, incluse le caratteristiche della sua malattia. i fattori prognostici e in particolar modo il profilo di rischio individuale (età, tabelle di comorbilità, terapie precedentemente assunte, stile di vita, professione svolta, necessità di coperture vaccinali e, non ultimo, family planning)» afferma la dott.ssa Girolama Marfia, responsabile UOSD Sclerosi Multipla dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Famaci con un più lungo utilizzo, in particolare l’IFN ß beta-1a con i suoi vent'anni di esperienza derivata dagli studi clinici e dalla real life, hanno a loro favore una pressoché completa caratterizzazione del profilo di sicurezza. La dott.ssa Marfia presenta quindi alcuni casi clinici paradigmatici di come la terapia con IFN ß-1a sia un’opzione valida per rispondere alle esigenze dei clinici e ai bisogni dei pazienti.2a) Una giovane donna con RRSM mild moderate (Caso 1)
«il primo caso clinico riguarda una giovane donna di 23 anni di professione infermiera che riceve una diagnosi di SM remittente recidivante (RRSM) in seguito alla comparsa di diplopia e di ipoestesia a carico del territorio trigeminale di sinistra associata vertigini; la sua RMN all'esordio mostra diverse lesioni demielinizzanti sovratentoriali spente e una lesione gadolinio positiva a livello del ponte» descrive Marfia. «Per questa paziente si cerca una terapia immunomodulante che assicuri rapidità di azione ed efficacia sostenuta nel tempo con un profilo di sicurezza ben consolidato tenendo conto che la paziente è un'infermiera e quindi un soggetto esposto un maggiore rischio infettivo maggiore. Inoltre il suo lavoro prevede turni ospedalieri e quindi ci si orienta verso una terapia che comporti un basso carico di monitoraggio, possibilmente senza somministrazioni quotidiane o pluriquotidiane tali da garantire la massima aderenza. È inoltre una donna in età riproduttiva che non esclude la gravidanza nell'arco di un paio d’anni».
Le evidenze scientifiche che abbiamo a disposizione, ricorda Marfia, comprendono lo studio EFFICACY che ha dimostrato come l’IFN ß beta-1a ad alto dosaggio somministrato tre volte a settimana sc sia significativamente più efficace della somministrazione monosettimanale intramuscolo, riducendo le recidive a un anno e fino a 16 mesi.
È un aspetto non da trascurare in quanto è consolidato che la progressione dell’EDSS nei primi 24 mesi dall'esordio è un forte predittore degli outcome clinici a lungo termine, come evidenziato dallo studio PRINCE-15 che ha valutato gli outcome clinici a distanza di 15 anni in pazienti con vari livelli di esposizione all’IFN, con un'associazione positiva tra maggiore esposizione all'IFN e prognosi più favorevole.
«La scelta dell'IFN come opzione terapeutica iniziale nei pazienti con fattori prognostici favorevoli può essere sostenuta anche in base a considerazioni relative al sequencing in caso di risposta subottimale o non risposta al trattamento» osserva Marfia. Alcuni DMT, specifica, sono associati a effetti long-lasting sul sistema immunitario che possono complicare uno switch. i farmaci iniettivi di prima linea, in genere, oltre a non richiedere washout, risultano maneggevoli permettendo nella maggioranza dei casi un passaggio immediato a farmaci di maggiore efficacia, rileva.
2b) Un giovane uomo con SM ad alta attività (Caso 2)
Il secondo caso clinico riguarda un uomo di 35, ingegnere, a cui viene diagnosticata una forma di SM ad alta attività. Nell'anno precedente la diagnosi il paziente aveva sperimentato una neurite ottica e un episodio caratterizzato da vertigini e instabilità posturale, per i quali non si era sottoposto ad alcun accertamento. La diagnosi viene posta dopo l'esordio di una sindrome midollare con emiparesi destra ed emianestesia controlaterale e urgenza minzionale. Alla RMN viene documentato un alto carico lesionale con plurime lesioni sottotentoriali e midollari e il paziente viene quindi indirizzato verso una terapia di elevata efficacia. «È sottoposto allo screening infettivologico e vaccinale da cui emerge una negatività del titolo anticorpale verso il virus varicella zoster, mandatorio per la maggior parte delle terapia di seconda linea» precisa. «Si decide, anche in vista di switch futuri, di vaccinare il paziente prima di iniziare una DMT di seconda linea, ma al contempo di proteggerlo in attesa del vaccino. C’è quindi l'esigenza di impostare una terapia di bridge che riduca l'attività infiammatoria in tempi rapidi e che sia compatibile con i vaccini: si decide quindi per una bridge therapy con IFN ß beta-1a sc».
In un lavoro, cita, pazienti con SM si dimostrano in grado di montare un’appropriata risposta immunologica al vaccino dell'influenza indipendentemente che siano o meno trattati con IFN ß-1a1a sc ad alto dosaggio. «Nel consensus statement Delphi promosso dal gruppo del San Raffaele e a cui hanno partecipato colleghi in tutta italia» dichiara Marfia «sono proposte raccomandazioni condivise per il timing delle vaccinazioni in corso di SM affinché risultino sicure ed efficaci nei pazienti trattati con i DMT e sulla base di questa consensus l'IFN ß beta-1a non sembra interferire con la risposta vaccinale». Per quanto riguarda la rapidità di azione, i pazienti trattati con IFN ß-1a presentano in un’analisi post hoc una riduzione significativa della comparsa di nuove lesione alla RMN rispetto al placebo, già evidente alla quarta settimana di trattamento e mantenuta nel tempo.
2c) Bambina di 10 anni con episodio di neurite ottica e familiarità per SM (Caso 3)
Una bambina di 10 anni con familiarità per SM, cioè con padre e fratello del padre affetti, rappresenta il terzo caso presentato da Marfia. «La storia clinica esordisce al novembre 2018, con un episodio di neurite ottica, e in quell'occasione la RMN era libera da lesioni e la puntura lombare evidenziava la presenza di bande monoclonali. Una RMN di controllo effettuata a distanza di sette mesi in pieno benessere mostra la comparsa di cinque nuove lesioni demielinizzanti sovratentoriali e una lesione emisferica cerebellare senza contrast enhancement». Viene posta la diagnosi di RRSM ed è proposta una terapia con IFN- ß -1a alla luce dei dati di efficacia e di sicurezza del farmaco nella popolazione pediatrica. Anche se l'uso dell’IFB-beta-1a in età pediatrica non si avvale di studi clinici randomizzati contro placebo esistono studi osservazionali e linee guida che sostengono l'uso dell'IFN come farmaco da adottare in prima battuta nelle SM pediatriche per il suo effetto positivo nel ridurre il relapse rate e nel ritardare la progressione di disabilità a fronte di un profilo di sicurezza che risulta accettabile e sovrapponibile a quello dell’adulto, afferma la specialista.
«Nella popolazione pediatrica» sottolinea Marfia «un'attenzione particolare va posta alla sicurezza in quanto si tratta di adolescenti che frequentano comunità scolastiche e sportive per cui va considerato il rischio effettivo di infezioni legato alla linfopenia, e i cui percorsi vaccinali sono per definizione da completare, compreso il vaccino per il papilloma virus in entrambi i sessi. In ultimo, va evidenziata anche la scarsa propensione in generale degli adolescenti a sottoporsi a frequenti esami ematici di controllo per il monitoraggio della terapia» osserva Marfia.
3) Le risposte ai bisogni del paziente nella patologia in evoluzione
La dott.ssa Marinella Clerico dell’Università di Torino ha discusso le opportunità che si incontrano nell'algoritmo terapeutico di trattamento dei pazienti con SM riprendendo la storia dei primi due casi clinici presentati dalla dr.ssa Marfia e aggiungendo altri due case report, uno focalizzato sul family planning, l’altro su un soggetto in età più avanzata.3a) Giovane donna con RRSM mild moderate (evoluzione del Caso 1)
Clerico torna a esaminare il caso della paziente di 28 anni, con una RRSM evoluta in una forma ad alta attività. Durante l'anno precedente, la paziente ha presentato due ricadute cliniche con la necessità di un bolo steroideo e con completo recupero. Mostra un EDSS di 4,5 mentre la RMN evidenzia cinque nuove lesioni in T1 che captano mezzo di contrasto. «Nessuna comorbilità, un desiderio espresso di una nuova gravidanza e un trattamento precedente con IFN ß-1a sc» riassume. «Questi i criteri per guidare la scelta del trattamento più adeguato» afferma. «Anzitutto occorre identificare una terapia ad alta attività e con un rapido inizio d’azione, considerare l'opportunità di pianificazione di una gravidanza e preservare la paziente da eccessivi rischi di infezioni, soprattutto virali dato l’attuale contesto». La scelta ricade su cladribina. «Lo studio MAGNIFY-MS ha evidenziato come cladribina abbia alta efficacia e rapida attività di azione e quindi determini una significativa riduzione sia del numero delle lesioni in RMN nei primi sei mesi sia nel numero delle lesioni captanti gadolinio, afferma Clerico.
«Circa l’opportunità di pianificare una seconda gravidanza» afferma «è da notare che sono stati raccolti in letteratura i dati relativi alle gravidanze intraprese sia trascorsi sei mesi dall'ultima somministrazione sia occorse durante la terapia con cladribina o comunque più a ridosso dell'ultima somministrazione dove non sono stati dimostrati eventi avversi seri per quanto riguarda gli outcome sia materni che fetali». (tab.1) Circa le infezioni relative al tratto respiratorio, si è visto si verificano nella popolazione dei pazienti sottoposti alla terapia con cladribina ma in modo percentualmente sovrapponibile alla popolazione che negli studi ha ricevuto il placebo.
Tab.1 – Opportunità di programmazione della gravidanza con compresse di cladribina.
3b) Giovane uomo con SM ad alta attività (evoluzione del Caso 2)
Clerico torna al secondo caso, relativo all’ingegnere oggi 39enne con RRSM all'esordio ad alta attività. «All'esame neurologico presenta un’emisindrome sensitiva e una riduzione dell'acuità visiva a 8 decimi all’occhio di sinistra, una ricaduta nell'anno precedente, un EDSS di 2,5, una lesione captante gadolinio alla RMN e nessuna comorbilità. i trattamenti precedenti: dopo l’IFN ß-1a sc come bridge therapy per la necessità di vaccinazione, è seguito l’alemtuzumab» ricorda. In questo caso le necessità del neurologo e del paziente sono: un trattamento con riguardo particolare alla sicurezza (quindi una terapia definita post-induttiva). «Circa il ruolo e l'utilità dell'utilizzo di una terapia a minore impatto sul sistema immunitario e quindi anche a minore efficacia globale dopo una terapia induttiva i primi dati più significativi e incoraggianti derivano da studi fatti con mitoxantrone» afferma Clerico «con dimostrazioni in studi successivi di come la terapia con minore attività che segue la terapia induttiva può garantire una mantenuta efficacia e quindi un buon controllo di malattia».
Riguardo le infezioni virali delle vie respiratorie, ribadisce, restringendo l’attenzione alle quelle causate da SARS-CoV-2, possiamo affermare da una raccolta di dati aggiornati al luglio 2020 che tali infezioni in genere nei soggetti trattati con IFN ß-1a non risultano incrementate ma soprattutto che quei pazienti che assumendo IFN ß-1a avevano contratto l'infezione nel contesto del Covid-19 non presentavano una malattia a elevata severità essendo in gran parte paucisintomatici o asintomatici. (tab.2)
3c) Una giovane donne di 33 con RRSM ad alta attività (family planning)
Un ulteriore caso riguarda una giovane donna di 33 anni, casalinga, con una RRSM ad alta attività al momento della diagnosi. L’esame neurologico risulta normale, vi è assente attività di malattia nell'anno precedente, un EDSS 0, nessuna nota radiologica, non comorbilità un trattamento iniziato come prima terapia negli ultimi due anni che constava nell'uso di ocrelizumab. «La prima necessità è quella della paziente di andare incontro a una gravidanza e si deve considerare una terapia che si occupi di mantenere un profilo di sicurezza durante la gravidanza e l'allattamento. Va però tenuto conto dei dati di efficacia e anche dell'impatto sul numero di linfociti, poiché si tratta di una paziente che arriva da una terapia con alto impatto su questa popolazione cellulare» afferma Clerico.
«La scelta terapeutica è andata su IFN ß-1a. «Il motivo deriva dai numeri dei registri europei che si sono occupati di raccogliere i dati che derivano da pazienti in gravidanza durante la terapia con questo farmaco. Dal confronto tra pazienti trattate o non trattate con IFN ß-1a prima o dopo la gravidanza è emerso che le prime non avevano un aumentato rischio di aborto, né un rischio superiore di anomalie congenite o maggiori probabilità di manifestazioni di eventi avversi seri in termini di pregnancy outcomes».
L’IFN ß-1a può essere impiegato durante l’allattamento. «È stata poi introdotta la possibilità di dare indicazione all'utilizzo dell’IFN ß-1a alle donne che siano in allattamento e che vogliano continuare, aggiunge Clerico. «In una paziente che passa da un trattamento come ocrelizumab per una malattia che esordisce con un’alta attività occorre tenere conto anche dell'efficacia nella scelta del trattamento, in questo caso andata all’IFN sulla base dei dati dei più recenti trial comparativi dai quali risulta un'efficacia sovrapponibile per l’IFN ß-1a 44 mcg sia verso l’alemtuzumab sia verso l’ocrelizumab, in particolare per quanto riguarda outcome di disabilità confermata a sei mesi» aggiunge. «In questo caso, la scelta di uno switch verso l'IFN è stata effettuata proprio poiché è stato dimostrato che anche se si manifestasse una linfopenia di grado 3 o 4 in corso di terapia con IFN ß-1a, questa tende ad autorisolversi in brevissimo tempo durante il trattamento» afferma Clerico.
3d) Uomo di 63 anni con diagnosi di RRSM e importanti comorbilità (cognizione)
L’ultimo caso proposto riguarda un uomo di 63 anni, in pensione , con una diagnosi di RRSM e un esame neurologico che consta di una monoparesi spastica all'arto inferiore di destra, un nistagmo multidirezionale di grado lieve, nessuna attività nell'anno precedente, un EDSS di 3.5, non attività radiologica ma importanti comorbilità relative a ipertensione e recente diagnosi di patologia tumorale. Il trattamento precedente del paziente era il fingolimod. «Nel determinare la terapia migliore per questo paziente il peso maggiore è rappresentato dalle comorbilità nel contesto di una terapia con fingolimod» afferma Clerico. «I bisogni diventano relativi soprattutto all'età del paziente, quindi all'impatto sulla cognitività e anche al management».
Uno studio ha permesso di vedere quale sia l’influsso delle diverse DMT per la SM nel determinare un miglioramento delle performance cognitive analizzate in letteratura da un baseline rispetto al momento di osservazione. «In generale, tra le terapie di prima linea, l’IFN ß-1a insieme al glatiramer determinerebbero un miglioramento significativamente maggiore rispetto alle terapie orali dal baseline.
Questi dati sono confermati dallo studio COGIMUS in cui l'outcome era rappresentato dalla valutazione di cognitive impairment nei pazienti osservati negli anni in terapia con IFN ß-1a rispetto ai pazienti non trattati e dove si è dimostrato che il trattamento con IFN ß-1a nel complesso risultava favorevole a un non peggioramento rispetto al non trattamento sia a due che a tre anni. Inoltre, il trattamento con la dose più elevata risultava più efficace nel prevenire il peggioramento della performance cognitiva rispetto alla terapia a dose minore costituita dall’IFN- ß -1a 22 mcg» conclude Clerico.
TAKE-HOME MESSAGES
• L’IFN ß-1a rappresenta una solida opzione terapeutica lungo l’intero percorso del paziente• Una valutazione globale delle necessità del paziente deve essere uno dei driver al momento della scelta della strategia terapeutica più appropriata
• Prove scientifiche dimostrano come l’IFN ß beta-1a sc risponda a diverse necessità emergenti:
- family planning
- vaccinazioni
- profilo di sicurezza nel periodo del Covid-19
- strategia di trattamento
- popolazione anziana