lescienze.it
04 febbraio 2019
Una tecnica per misurare i virus HIV nascosti
Un perfezionamento della tecnica genetica PCR ha permesso di misurare i livelli di virus HIV "dormienti" nelle cellule dei pazienti in terapia, e di scoprire che solo il 12 per cento circa delle sequenze genetiche virali presenti è in grado di funzionare e dare origine a nuovi virus(red)
Una tecnica che consente di valutare con precisione l'entità del serbatoio di virus dell'HIV dormienti all'interno delle cellule di pazienti in terapia antivirale è stata messa a punto da un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine a Baltimora e dell'Howard Hughes Medical Institute, che la descrivono su "Nature".
In questo modo è quindi possibile valutare se e come una certa terapia- un cocktail di farmaci o un farmaco sperimentale - sta influenzando un serbatoio virale e quanto è minacciata la vita del paziente.
![]() Cellula umana aggredita da virus HIV (in giallo). (Cortesia Seth Pincus, Elizabeth Fischer and Austin Athman, National Institute of Allergy and Infectious Diseases, National Institutes of Health) |
L'attuale terapia anti AIDS prevede combinazioni di farmaci antiretrovirali, ognuno dei quali inibisce una fase specifica del ciclo di vita del virus.
Quando i farmaci che bloccano due o più stadi vengono somministrati contemporaneamente a un paziente, il virus non può replicarsi e la sua presenza nel sangue scende al di sotto dei limiti di rilevazione. Questo allevia i sintomi dei pazienti e ne preserva lo stato di salute anche per decenni.
Tuttavia il virus non è eradicato e rimane nell'organismo in una forma latente difficile da rilevare, ma potenzialmente in grado di riattivarsi, costringendo i pazienti a curarsi per tutta la vita.
Per valutare l'entità del serbatoio virale latente, oggi si usa una tecnica basata sulla cosiddetta reazione a catena della polimerasi (PCR ) che permette di misurare quanto DNA di origine virale è presente nelle cellule bersaglio dell'HIV, i linfociti CD4.
Tuttavia, la PCR standard non è in grado di distinguere tra le sequenze di DNA virale che sono state inserite nel genoma dell'ospite in modo corretto - e quindi in grado di riattivarsi, esprimere le istruzioni che conservano e dare origine a nuove particelle virali - e quelle che, danneggiate
dalla terapia prima dall'integrazione nel genoma, non sono più in grado di funzionare correttamente.
Robert F. Siliciano e colleghi hanno perfezionato la PCR abbinando alle sonde genetiche che identificano le sequenze di DNA virale altre sonde che identificano le regioni genetiche soggette a mutazioni che possono impedire la corretta decifrazione delle informazioni virali.
I ricercatori sono così riusciti a stabilire che le stime precedenti sulle dimensioni del serbatoio virale latente nei pazienti in terapia erano sopravvalutate: in media soltanto il 12 per cento circa delle sequenze virali è risultata intatta e in grado di riattivare il ciclo vitale del virus.